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«Ricomincio da qui»

Genitori e Familiari insieme contro i Disturbi del Comportamento Alimentare

«Ho sempre pensato che nella vita le cose succedessero per un motivo ben preciso e che il caso non esistesse. Che se una persona non fosse stata in grado di dar vita alla propria voce, alla propria sofferenza e alle proprie paure fosse simbolo di inferiorità. Che sfogarsi con le briciole della propria mente fosse la cosa migliore. Perché tenersi tutto dentro o peggio, perché trasmettere la tua sofferenza alle altre persone rischiando di far star male loro come te? Il tutto non aveva senso.

Finché a dare un senso al tutto fui proprio io. 

Sbagliata. Danneggiata. Un errore. Ecco come mi sentivo. 

Decisi così che forse era arrivato il momento di far parlare il mio dolore, di dargli un nome che non tardò ad arrivare. Ana, un dolore riflesso in una malattia. 

All’inizio era difficile, non mangiare, non bere, perdere le forze e le conoscenze, ma ben presto tutto quello che all’apparenza non aveva niente di normale si trasformò nella mia quotidianità e le mie paure più grandi diventano quelle cose che venivano ritenute essenziali per vivere. Non ho mai capito se la paura fosse proprio questa, se a lacerarmi era il fatto che la mia mente aveva deciso che per me la vita non era qualcosa della quale andare fiera ma anzi, qualcosa con la quale dover lottare con lo scopo di porre fine alle nostre divergenze. Qualcosa da sconfiggere perché quando le persone vedono nella morte una via d’uscita non hanno speranze di vincere e io non ne avevo. Volevo essere una persona perfetta, qualcosa che ancora non si fosse visto. Volevo essere fiera di me stessa e del mio coraggio, mischiato a una marea di sforzi che avevo impiegato per raggiungere il mio obbiettivo.

Non sapevo però a cosa stavo andando incontro.

Ho sempre pensato che volare fosse qualcosa di meraviglioso, una leggerezza interiore al di sopra di qualsiasi altra meraviglia della natura, ma quello che stava succedendo a me era un viaggio diverso. Non stavo prendendo un aereo e non possedevo neanche un biglietto di ritorno, perché il viaggio che stavo per affrontare sembrava avere solo un’andata.

Circondata da paure, ossessioni, cicatrici e illusioni vivevo le mie giornate camminando al fine di contrastare qualsiasi tipo dolore. Immersa in un buco nero, con una folla di persone poco nitide che si sperdevano intorno a me, perché la vista, ma soprattutto la memoria iniziavano ad abbandonarmi. Erano i primi segni. Poi dopo aver passato un anno cercando di porre fine a quella guerra, qualcosa si mise in mezzo e le paure iniziarono a risalire, ma questa volta per un motivo ben preciso. Tutto quello che mi aveva impedito di soffrire era stato cancellato e per me si stava aprendo una nuova porta fatta di sacrifici, amicizia, dolori, passioni ma anche di sofferenze condivise. Iniziai a sentirmi di nuovo amata, ma soprattutto capita.

Quelle porte hanno un solo nome: Villa Miralago.

Ogni persona di quel posto mi ha ridato qualcosa, dal sorriso, alla luce negli occhi ed infine la voglia e il coraggio di dire basta, perché la vita era troppo breve per essere vissuta o meglio, sprecata in quel modo.

Non smetterò mai di dire grazie a questo posto e alle persone che non hanno smesso di credere in me anche quando ormai sembrava tutto perso.

Nella vita bisogna essere consapevoli che le paure ci accompagneranno tutti i giorni, ma starà solo a noi decidere come viverle.

Da soli non si arriva da nessuna parte, l’ho capito solo a 18anni ma meglio tardi che mai.

Oggi è precisamente un anno che ho ripreso in mano la mia vita e tra alti e bassi proseguo il mio percorso finalmente però senza passare da un ospedale all’altro.

Vivi. Ama. Ridi.

Ma soprattutto ricordati una cosa: il passato ci segna certo, ma ci forma anche perché il presente vive e matura grazie alle conoscenze acquistate nel corso del tempo e il futuro dipende dal nostro presente.

Con affetto.

Luna